Primi decenni del '900
Di fronte alla durezza della classe dominante, qualcosa si cominciò a muovere solo nel primo decennio del sec. XX: fra i cattolici si cominciarono ad evidenziare due correnti quella dei conservatori, che vedevano solo l'elemosina come rimedio della miseria, mentre i riformisti o popolari si posero il problema di un cristianesimo nuovo, comprensivo verso le classi più umili, consapevole della esigenza di una maggiore giustizia sociale.
Così ebbero inizio concrete iniziative di rottura nei confronti dell'isolamento dei piccoli contadini, aspiranti al possesso di un proprio pezzo di terra, sufficiente a sostentare le loro famiglie e ciò mediante iniziative di casse di mutua assistenza per attenuare il fenomeno dello strozzínaggio.
Queste iniziative però non riguardavano i braccianti, che non avevano niente e che, presa coscenza dalle dottrine socialiste, si cominciarono ad organizzare in “leghe “ per chiedere un migliore trattamento.
I capi socialisti allora facevano balenare agli occhi dei miseri braccianti il sogno della espropriazione della grande proprietà privata e il vantaggio della coltura collettiva della terra, che avrebbe dato a tutti pane e lavoro ma i più volevano un pezzo di terra tutta per se.
Comunque nelle varie classi ancora non c'era chiarezza di idee e di iniziative, solo la classe dei proprietari civili o borghesi non cessava di reagire con ogni violenza legale o illegale al desiderio confuso di maggiore giustizia delle masse popolari.
Con il governo Giolitti, che fece approvare leggi migliorative della condizione lavoratrice e che introdusse il diritto al voto per tutti i cittadini di sesso maschile, si iniziò un processo di miglioramento che però non piacque alla classe padronale.
Intanto i reduci della grande guerra non accettarono più di aspettare ancora la soluzione del problema dell'accesso alla proprietà della terra.
Da un lato si organizzarono i socialisti più o meno riformisti per difendere la condizione dei lavoratori, dall'altro canto anche il riformismo cattolico con accenti progressisti si rivolse alla gran massa dei piccoli contadini, mentre i grossi e medi proprietari facevano i nazionalisti o i qualunquismi non volendo affrontare il problema sociale.
Negli anni '20 operò con notevole efficacia nel nostro Comune l'energico prete riformista, don Vincenzo Bascetta,che, collaborato dal giovane professore Carmelo Salanitro, con le sue iniziative mutualistiche a favore dei piccoli contadini, riuscì a rompere la muraglia dell'egoismo dei grossi proprietari. I piccoli proprietari liberati dallo strozzinaggio usuraio, fecero dei miracoli, trasformando interi feudi coperti di lava in fiorenti agrumeti, oliveti e mandorleti.
Anche se, per avverse condizioni internazionali e nazionali, alcune iniziative del Bascetta fallirono, pure rimase suo il merito di aver diviso in quote, per la prima volta nella storia del Comune, delle grosse proprietà e avere ceduto queste quote di terra a veri contadini.
Un altro meritevole personaggio nella storia della organizzazione e dell'addottrinamento delle masse bracciantili, per una presa di coscienza della loro dignità, fu l'artigiano povero Pasquale Burzillà, che, insieme ad altri coraggiosi, non cessò di fare proseliti per il suo partito comunista e di cercare, a modo suo un dialogo con la parte avversa che in maggioranza era costituita da cattolici integralisti.
La storia successiva di Ademò, che dal 1929 riprese il nome di Adrano, sarà formata principalmente da queste due forze: quella cattolica e quella comunista che si alterneranno nella gestione del potere comunale, talora con un odio di parte superiore all'amore per la propria città e recentemente con poco chiare collusioni.
Questo ha costituito una notevole remora ad un lineare e progressivo sviluppo della nostra comunità, che avrebbe bisogno di amministratori, che sapessero, in ogni occasione, subordinare le proprie idee di parte o di corrente agli interessi superiori di tutta la cittadinanza.