Morte del Santo

 

 

Il 17 agosto 1167, Nicola è colto in ginocchio, nella sua spelonca, dal momento di rendere la sua anima al padre: raggiungeva l’Amore che aveva servito ed adorato per tutto il suo pellegrinare sulla terra.
Il racconto del ritrovamento del corpo contiene fatti miracolosi, che il padre gesuita Ottavio Caietano ha riportato in fede ai documenti a lui consegnati dal padre Faranda.
Un contadino, certo Leone, stava pascolando i suoi buoi. I buoi, durante il pascolo, si addentrarono nel bosco vicino, dove c’era la dimora di Nicola.
Leone, il cui cognome, “Rancuia”, è comparso successivamente alla pubblicazione del Caietano, si mise alla ricerca dei buoi perduti. Durante la ricerca, si spinse fino alla grotta di Nicola Politi.
L’eremita era lì, esanime, in ginocchio, con il libro delle preghiere aperto in mano ed il bastone a forma di croce poggiato sulla spalla. Leone, vedendo l’uomo in quella posizione, capì subito che era un uomo di Dio. In principio, però, pensò che l’uomo si fosse addormentato in quella posizione: si portò vicino al cadavere e lo chiamò; non ricevendo alcuna risposta, si avvicinò e lo scosse con la mano destra. Fu grande lo spavento e lo stupore di Leone, quando, a quel contatto, il braccio gli rimase inaridito come un legno secco. Corse immediatamente al villaggio a raccontare l’accaduto ai magistrati, alla gente e al clero. Questi si meravigliano dell’accaduto; si ricordano che poco prima le campane delle chiese alcaresi avevano suonato a festa, da sole e senza alcun motivo apparente: allora collegarono il fatto accaduto a Leone col suono delle campane.
Mossi dalla curiosità di sapere e vedere chi fosse quel santo uomo, guidati da Leone, si portarono nel posto dove si trovava il corpo esanime di Nicola. Appena Leone indicò l’antro dov’era Nicola, il braccio, oggetto del primo prodigio, gli tornò sano come prima. Tutti furono in preda ad un grandissimo stupore.
La gente di Alcara fu certa che quello era un uomo di Dio; e pensò di trasportarne il corpo in paese, per seppellirlo e onorarlo; ma, durante il tragitto, vicino alla chiesa di Sant’Ippolito, al bivio che separava le strade per Alcara e per il monastero del Rogato, il corpo di Nicola incominciò a diventare molto pesante: co-sì, da non poterlo muovere più.
Gli Alcaresi tennero consiglio; avevano deciso di trasportarlo in quella chiesa, ma il corpo di Nicola non si moveva. Quella gente non sapeva più che cosa fare. Non riusciva a spiegare il motivo di quell’altro prodigio. Ma, mentre teneva consiglio, un altro prodigio ancora vi si aggiunse: un bambino ancora in fasce si mise a gridare: “Portate il corpo alla chiesa di S.M. del Rogato”. A questo punto, la gente, ancora incredula di quanto era successo quel giorno, porta il corpo del Santo, che ora si lascia facilmente trasportare, al mo-nastero del Rogato. Il Caietano aggiunge che lì il corpo sarebbe rimasto integro e incorrotto per 336 anni, fi-no a quando verrà trasportato in città, come vedremo in seguito.
Dal racconto fatto si deduce che in Alcara la venerazione del Santo è incominciata da subito dopo la sua morte.

 

 

 


Testi tratti dal libro di

 Santo Ali

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