SACERDOTE FRANCESCO MUSCO
Il sacerdote Francesco Musco svolse Il suo
apostolato con spirito di sacrificio e dì carità,
pronto a soccorrere i bisognosi e a portare conforto
agli ammalati e ai carcerati.
Nato il 29 giugno 1594, in una casa del quartiere
della "Cuba" di Adernò, da Antonio e Filippella
Messina, fu battezzato con il nome di Pietro. La sua
famiglia, assai agiata, apparteneva al ceto dei
"Civili", i cui membri seguivano la carriera
ecclesiastica e notarile e avevano diritto a
ricoprire i più importanti uffici comunali.
Egli aveva due fratelli, Giovan Filippo e Valerio e
due sorelle, Giovanna e Grazia.
Fin da adolescente manifestò attitudine alla vita
religiosa alla quale si preparò con digiuni, veglie
ed opere di bene. Ordinato giovanissimo sacerdote,
prese il nome di Francesco per imitare l'umiltà e la
castità del Santo di Assisi. A partire dal 1628 e su
donazione di Giacomo Maggio istituì presso il
Palazzo dei Nobili Bianchi, situato nella piazza
principale del paese, un centro di piccola
assistenza per i poveri.
Un altro suo compito fu quello di curare
l'educazione religiosa della povera gente e a questo
scopo fondò nella chiesetta abbandonata di Santa
Maria della Consolazione, detta anche del Cristo
Risuscitato, situata fuori del paese, nei pressi del
l'odierna via delle Salette, una Confraternita o
Congregazione religiosa, nominata "Sciabica" ovvero
"Rete". La Confraternita era una corporazione
ecclesiastica, composta di fedeli in prevalenza
laici, nata probabilmente nell'VIII sc., con lo
scopo di raccogliere elemosine per soccorrere i
bisognosi, assistere gli ammalati e i carcerati.
Il pio Sacerdote nella piccola chiesa riuniva la
sera, al ritorno dei campi, i poveri contadini ai
quali insegnava, talora fino a notte, le preghiere e
i principi della fede. In seguito il Sacerdote
trasferiì la Confraternita nel centro abitato, in
alcuni locali della casa paterna, dove verso il 1540
fondò la chiesa di Gesù e Maria. La Confraternita
nella nuova sede, comprese, oltre ai cittadini,
anche persone del ceto dei "Civili" e del ceto dei
"Maestri" e prese il nome della nuova chiesa.
Nel 1646 fece costruire accanto alla chiesa un
piccolo convento e un "Reclusorio", dove venivano
accolti i preti ritirati e qualche pio laico.
Don Francesco svolse il suo ministero con grande
zelo, ad esempio per non lasciare morire nessuno
senza i conforti religiosi, la notte giaceva,
vestito e indossando un crudele cilicio, ai piedi
dell' altare della sua chiesa, pronto ad accorrere
al capezzale di un moribondo. Si prodigò per portare
l'armonia tra le rissose famiglie del tempo e non
perse mai l'occasione per invitare all'umiltà e alla
mortificazione della carne; per l'occasione istituì
il "rito del Quarantore".
Fu estremamente tenace nella lotta contro gli
usurari, esortandoli a restituire quello che
ingiustamente avevano guadagnato.
Particolarmente devoto del Cristo flagellato alla
Colonna, fece sì che la Congregazione della
"Purificazione della Vergine Maria", probabilmente
fondata da lui nella chiesa di San Sebastiano, oggi
SS. Cristo alla Colonna, costruisse una cappella e
una statua di pregevole fattura. Obbligò poi la
Congregazione ad accompagnare in processione, la
sera del Giovedì Santo, la statua del SS. Cristo
alla Colonna in giro per le vie di Adernò, visitando
tutte le chiese sacramentali in abito da penitenti e
a piedi scalzi.
Per aiutare i bisognosi non faceva alcun risparmio
della sua vita; si narra che un giorno d'inverno,
informato che un povero viandante giaceva stremato
dalla fame e dalla fatica sotto la rocca di "Giambruno",
tra Centuripe e Adernò, partì solo, in mezzo alla
tempesta, raggiunse il poveruomo, se lo caricò sulle
spalle e lo condusse nella sua Chiesa, salvandolo da
sicura morte.
Non trascurava gli ammalati, visitando spesso
l'ospedale della Congregazione e del Devoto Monte di
Pietà, i carcerati e persino quelli di Paternò, dove
venivano rinchiusi in attesa dell' esecuzione.
Dopo una vita di stenti e di fatiche si spense,
all'età di 54 anni, il 12 aprile 1648.
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