PIETRO
SCALISI
Pittore e poeta
testo biografico critico di
Vincenzo Spitaleri
ARTE E UMANITÀ IN PIETRO SCALISI
Nel trattare, se pure in sintesi, il percorso
artistico di Pietro Scalisi, ho cercato di
evidenziare, innanzi tutto, le qualità dell'uomo,
ritenendo ciò una cosa assai importante ai fini di
una giusta comprensione delle sue opere.
Il presente scritto non ha la pretesa di illuminare
in tutti i suoi particolari un argomento che,
d'altra parte, deve ancora compiersi; esso mira solo
a definire con maggiore precisione la personalità
del Nostro, finora non abbastanza considerata, e il
suo profondo significato. E tutto ciò mi spinge a
guardare, quasi con forza, nella memoria, ad aprire
una porta al di là della quale, inoltrandomi, rivedo
il tempo in cui ho conosciuto per la prima volta
l'artista.
Sono trascorsi più di quarant'anni. Adrano odorava
ancora di bombe e bastava far rotolare qualche
calcinaccio tra le macerie che ingombravano il
paese, per tirare fuori delle pesanti schegge
metalliche, sagomate capricciosamente dalle potenti
cariche del "nemico". Comunque, allontanatasi da noi
la sciagura della guerra, la gente era tornata a
vivere in paese, nelle case rimaste in piedi e per
le viuzze, dove svolazzano e cantavano le galline, e
forte si sentiva l'odore dello stallatico, segno
questo di una civiltà antica che, qualche decennio
più tardi, l'industrializzazione avrebbe spazzato
via per sempre. Ognuno, in quei giorni, tirava un
sospiro di sollievo, mentre i più giovani, sull'onda
di un generale ottimismo, si abbandonavano
all'immaginazione di un avvenire di completa
felicità.
Allora, fra quei moti di speranza, teneva lezione di
disegno lo scultore Simone Ronsisvalle, personalità
carismatica, che univa attorno a se non pochi
appassionari d'arte del paese. E fu alla sua scuola,
che io e Scalisi iniziammo la nostra conoscenza; d'apprima
con muti colloqui: egli si limitava a guardarmi
incuriosito rispondendo così alla curiosità con cui
io lo guardavo. In verità ero perplesso: scorgevo in
lui qualche cosa di non comune, perfino di
inquietante, che non riuscivo a spiegarmi. Non
tardai però a comprendere che la mia impressione,
che mi suggeriva una tattica di avvicinamento assai
prudente, scaturiva dalla sua riservatezza, da quel
suo stare in silenzio fra gli altri allievi, ma
soprattutto - fatto assai curioso - dalla sua
statura che, per la secchezza del corpo, gli
conferiva una strana foggia, facendolo apparire
esageratamente alto; ma il nostro aveva voluto
soltanto crescere in fretta e poi si era fermato ad
una misura assolutamente normale.
Una sera, essendoci trovati accanto, mentre
studiavamo lo stesso modello, l'incantesimo, per
così dire, si ruppe: volò la prima parola,
ovviamente sull'arte (qualche tempo dopo sulla
donna), ed ecco che i colloqui si fecero verbali e
si ingrossarono come torrenti, recuperando il tempo
del silenzio; ecco nata così quell'amicizia
destinata a diventare salda come l'acciaio.
Già in quel tempo la sua personalità si veniva
delineando. La posizione etica di Scalisi, il suo
porsi in rapporto alle cose e alla problematica
umana, aveva ed ha come fondamento una innata
mitezza, la disposizione alla moderazione e alla
tolleranza, una grande capacità di sentire le
esperienze dolorose e le avversità degli altri.
Non creda alcuno che si voglia fare la
glorificazione di un amico: ciò che a me preme, come
ho detto all'inizio, è esplicitare la sua immagine
interiore per giustificarne gli sviluppi artistici.
La ricerca esistenziale di Scalisi, permeata, come
si è detto, di comprensione e disponibilità - che
nell'ambito escatologico significa pace - trasferita
nel suo mondo artistico, diventa ricerca di
"classicità' quindi, di armonia e di quiete. Come
vedremo tale ricerca è presente in molte delle sue
opere.
Correva l'anno '50. La notizia che a Catania era
costituito l'Istituto Statale d'Arte, fece l'effetto
di una bomba tra gli allievi della Scuola di
disegno. Scalisi mi informò sull'evento tartagliando
per l'emozione. Sicchè, dall'inizio del nuovo anno
scolastico, lo si vedeva viaggiare tutti i giorni,
per Catania e viceversa, con il treno a carbone
della Circum-etnea; l'unico mezzo più economico -
allora - ma che alla lunga rompeva le ossa. Dopo un
anno di quei viaggi, il Nostro cominciava ad avere
una certa stanchezza, un'uggia, una sorta di
malessere e di sfiducia nelle cose. Tutto ciò era
dovuto anche, e non poco, all 'ambiente culturale
dell'istituto; a situazioni inerenti ai suoi studi
che talvolta lì non andavano per il giusto verso.
Pietro Scalisi, comunque, conseguito regolarmente il
suo bravo diploma, trovò subito il posto di
insegnante nella scuola media, allora comunale, di
S. Maria di Licodia: prendeva "quattro soldi", ma
sufficienti per portare alle stelle la sua
contentezza.
In questo periodo, si è nel '55, l'artista compone
il suo primo dipinto di notevole valore; mi
riferisco all'Autoritratto. Le impressioni che da
esso ricevo sono d'inquietudine e di grande vigoria
fisica e interiore. L'opera mi restituisce in modo
sorprendente l'amico di tanti anni fa. La figura si
affaccia nel campo con i suoi grandi occhi e col
capo inclinato leggermente a sinistra, legato alla
diagonale tramite i pennelli disposti a raggiera. La
grande mano aperta, situata in primo piano
all'angolo inferiore, genera la terza dimensione e
una controspinta in profondità, scaricando la sua
forza sulla diagonale destra sino a raggiungere lo
strumento musicale parzialmente visibile. La
sostanza cromatica, spessa e rude, è intimamente
connessa al contenuto e alla disposizione delle
unità costituenti. Da tutto ciò la composizione trae
un suo equilibrio, ma in uno stato di particolare
sospensione. Il 23 aprile del '56, mentre il suo
autore si trova a Casale Monferrato per il servizio
di leva, l'Autoritratto, presentato dietro mio
suggerimento alla Mostra di Pittura "Tavolozza
d'argento", tenuta dall'Associazione "Corda fratres"
di Adrano, conquista il primo premio assoluto e
giudizio unanime della commissione giudicatrice.
Il periodo del servizio militare trascorso nel
continente, fuori dall'ambito isolano piuttosto
angusto e regionalista, dà a Scalisi, l'opportunità
di arricchire le sue esperienze artistiche ed umane.
Trasferito a Torino, il Nostro, pur nel ristretto
tempo che la sua condizione di soldato gli consente,
frequenta mostre ed importanti musei; accende
discussioni con amici del nord sui problemi sociali
più scottanti, quali la ricostruzione del paese, la
democrazia, gli orrori della guerra, di cui sono
ancora vivi i ricordi e non rimarginate le ferite.
Soprattutto lo coinvolge intensamente il problema
delle rivendicazioni delle classi più povere.
Insomma, egli sente di doversi impegnare attivamente
nella lotta per una società più giusta e vede
nell'arte una grande possibilità, un potente mezzo
con cui far riflettere ed educare le masse.
Del resto il pittore J.L. David, avendo dipinto e
pubblicamente esposto nel lontano 1785 il Giuramento
degli Orazi, e quindici anni dopo le Sabine, non
aveva affermato che il compito dell 'opera d'arte "è
quello di commuovere e incitare all'azione le
folle"?
Così Scalisi, fedele al suo credo politico, dedica
gran parte del suo tempo libero all'attività
pittorica, che ora ritiene più che mai necessaria.
A questo periodo e ad anni successivi appartengono
per ciò opere di contenuto umano e sociale, di cui
tratterò alcune, tra le più significative. Inizierò
con una Crocifissione che ritengo di particolare
importanza. In essa traspare una eticità religiosa
di tipo francescano, espressa mediante una
plasticità monumentale che fa pensare a Giotto. Una
grande arcata accoglie le tre figure che sembrano
blocchi di pietra. Le donne, genuflesse e chiuse
nelle loro anonime vesti, stanno immerse in un
dolore muto e profondo; testimoni, impotenti di un
dramma che si compie. Il quadro, tuttavia, si può
intendere in un modo diverso, senza nulla perdere
del suo straordinario fascino. In quell'ambiente
umile e raccolto, che sa di convento, illuminato
dalla luce del chiostro, le donne sono in
raccoglimento, a pregare, davanti a un crocifisso
scolpito. Non è difficile notare, comunque, come la
luce sia l'artefice principale di questa semplice
struttura, e come le unità si trovino in una
relazione di perfetto equilibrio.
Un'opera toccante, su cui molti dovrebbero meditare,
è la Colomba uccisa, dove l'autore ha mirabilmente
conseguito una sintesi dell'arte e del sentimento.
La bestiola giace riversa e avvoltolata in se
stessa, nel sonno della morte; attorno è lo spazio
infinito.
Altri dipinti di notevole valore sono: Fucilazione e
il Carro di Mauthasen. In Fucilazione impressiona
subito la disposizione frontale delle figure
nell'intero campo: ciò significa l'agghiacciante
certezza che ogni cosa è stata approntata e già si
vivono gli attimi di sospensione che precedono
l'eccidio. Ma i condannati, uomini emaciati. come
fantasmi, guardanti quasi con indifferenza coloni
che stringono gli strumenti di morte; ormai
aspettano solo di udire forte una parola.
Il Carro di Mauthasen raffigura gli accadimenti
successivi a quelli del dipinto precedente. E senza
dubbio uno dei capolavori di Scalisi; un’opera colma
di tregenda e di pathos. Consumato l'efferato
delitto, sistemato il mucchio, ora gli uomini uccisi
sono portati alla fossa comune o ai forni. Il carro
si avvia d'apprima lentamente, cigolando.
appesantito da tutti quei morti; poi con andatura
sostenuta, sotto un cielo grigio. Ed è in questo
movimento, nell'osservare quel cumulo di corpi
ciondolanti allontanarsi nel vuoto di un orizzonte
sinistro, che levitano in me riscontri e sentimenti
di profonda pietà e di amarezza.
Tornato dal militare ed assicuratosi un posto di
insegnante nella scuola media di Stato, Scalisi
intensifica la sua attività di pittore e si fa
ampiamente apprezzare, sia con mostre personali sia
partecipando a rassegne d'arte e a collettive, che
si tengono in vari centri della Sicilia. Un periodo
questo di fervore creativo e di grande speranza, che
possiamo far risalire pressappoco alla rassegna
d’arte inaugurata a Randazzo nell’agosto del '63 e
che dura fino al '69. Intanto, mentre i contenuti
delle sue opere continuano a rispecchiare fatti e
problemi sociali, il linguaggio comincia lentamente
a mutare. L'artista tenta nuove vie; lo attirano
altre possibilità espressive. altri interessi. Il
figurativo sintetico che così efficacemente ha
trasmesso i suoi messaggi, ora trasmuta in una
struttura la quale tende per gradi ad eliminare la
terza dimensione e a definire il campo in un assetto
geometrico, con il colore che si purifica e si
stende per campiture. È una ricerca, per così dire,
non priva di motivazioni estetizzanti, che, qualche
anno dopo, sfumando quasi del tutto la questione
sociale, sarebbe prevalsa, piegando le figure a puri
simboli.
Il dipinto Eccidio, con cui si ricorda la morte di
Girolamo Rosano, è appunto un lavoro di transizione
che ci dà chiaramente l'idea di uno dei momenti di
passaggio alla fase geometrica. L’opera, per essere
stata forse troppo pensata, risulta piuttosto
fredda: le unità visuali, infatti, in evidente stato
di quiete e chiuse da linee ad angolo retto,
smorzano la tragicità del fatto, espressa solo dalla
posizione in diagonale del giovane caduto.
Allo scopo preminente di chiarire a fondo la sua
problematica artistica, Scalisi nel '70 si
trasferisce a Varese, dove all'attività di
insegnante affianca quella di pittore. La sua
permanenza nella città lombarda dura tre anni ed è
certamente proficua. La produzione figurativa di
questo periodo mostra i risultati delle nuove
ricerche. Sono realizzazioni per lo più pregevoli,
che meritano l'approvazione di critica e di pubblico
e l'incoraggiamento di Renato Guttuso. Là,
ovviamente l'artista tiene personali e partecipa a
collettive e a concorsi d'arte conseguendo premi e
segnalazioni.
Considerando le opere di questo periodo. la prima
impressione che ricevo da esse è una convergenza di
equilibrio formale e di interiore tranquillità. Il
desiderio di "pace artistica", quella classicità di
cui ho accennato all'inizio, alla quale Scalisi ha
sempre aspirato, qui si realizza compiutamente.
poichè egli, lontano dalla sua terra, forse ha
potuto dimenticare, anche se per poco, il problema
dell'altra pace, confortato inoltre da una speranza,
per le quali le nubi cariche di tempesta sembrano
essersi allontanate. Di questi dipinti desidero
riguardare, se pur sommariamente, Chiaro di luna,
Ritratto in una stanza, Tentativo di dialogo,
Composizione di un interno. Nella prima opera il
campo si muta in un'atmosfera diafana e diventa
fiabesco: a una finestra il volto di una fanciulla e
una pianta fiorita: due creature che ascoltano
incantate lo spazio della notte, dove in alto è la
luna. Sono momenti vibranti di autentica poesia,
dati da una triade in relazione perfetta. Anche il
Ritratto in una stanza è costituito da tre elementi:
una porta aperta, una effigie al muro di fronte, una
antica poltrona. Ma qui il rapporto non è di pace:
la porta aperta, alla destra, trascina su di sè il
nostro sguardo, suscitando in noi un senso di
abbandono e di solitudine. In tentativo di dialogo -
opera di evidente derivazione metafisica le ligure
poste sulle facce del diedro, sembrano levitare nel
vuoto, come attratte dalla forza gravitazionale
della luna. inquietante ed enigmatica la figura
dell’adolescente (l'unità più interessante),
disegnata solo con la linea nera sulla superficie
bianca. Composizione di un interno, infine, è una
felice combinazione di elementi naturali e di
oggetti umani. L'ombra e la luce, interagendo
dinamicamente sugli stessi piani, tessono trame di
forme ricche e raffinate, esotizzanti, ma non prive
di note realistiche per la creatura verde.
La natura particolare e sognante del meridionale,
quella sensibilità così forte che al siciliano
ventenne non consente più di abbandonare per sempre
il paese natio, di cui scrisse il principe Tomasi
nel suo Gattopardo, avvince anche Pietro Scalisi il
quale dopo qualche anno di permanenza a Varese,
comincia a sentire potentemente il desiderio della
sua Adrano, dove allora i problemi di riassetto
urbanistico e di crescita civile dei suoi abitanti
si fanno col tempo sempre più pressanti, e quindi
urgono adeguati interventi. Egli, quindi, fa ritorno
alla nostra terra. Io lo rivedo dopo qualche
settimana dal rientro. É pieno di aspirazioni e
desideri, e dell'ambiente lombardo mi parla con una
certa delusione, anche se riconosce che le
esperienze artistiche e umane fatte colà, lo hanno
aiutato ulteriormente a crescere.
Ad Adrano. a partire dal '74, inizia quel suo
periodo di attività politica che dura oltre dieci
anni. Egli viene eletto più volte
nell’amministrazione del Comune, dove per qualche
anno riveste la carica di assessore. Accetta,
inoltre, incarichi politici nel PCI - in cui del
resto ha sempre militato - e in diverse istituzioni
pubbliche.
In quei lunghi anni, tra illusioni ed inevitabili
amarezze, Scalisi, come artista, continua ad
esistere, anzi a progredire; silenziosamente però,
forse di nascosto da quel sè che parla ora
pubblicamente un linguaggio diverso e misurato.
Progredisce verso valori più alti, più autentici;
là, fra gli alberi, dove la presenza devastatrice
della bestia non ha ancora ucciso la speranza; dove
la 'Verità consolatrice" accoglie coloro che ad essa
sanno pervenire e la sanno intendere. Egli,
disegnando alberi, pietre, paesaggi, con la consueta
attenzione, ha riscoperto la natura - la nostra
natura, con la sua bellezza ed i suoi miti. Così è
tornato all'arte.
La ''Verità consolatrice'', mostrandogli i tesori
della vita lo ha indicato a guardare con occhi
diversi, come quando egli fanciullo guardava
silenzioso un'alba, un fiore, un gioco di farfalle.
L'opera più recente di Scalisi - certamente fino ad
oggi la più impegnativa - ha richiesto un anno di
lavoro, senza contare gli studi e le ricerche
grafiche preparatorie. Gli è stata commissionata
dall'amministrazione di Adrano nell'estate deIl'87
per onorare l'Aula Consiliare del Comune.
Si tratta di un grande dipinto ad olio su tela - 7
metri per 2,83- che l'artista ha voluto intitolare:
"Omaggio al mio paese'' dedicandolo ''a tutti coloro
che si adoperano per rendere più ospitale e florida
questa nostra città senza mortificarne le memorie e
l'ambiente.
Indubbiamente possiamo considerarlo il capolavoro di
Scalisi, dove convergono le sue esperienze di uomo,
la sua sensibilità di artista e il filiale
attaccamento alla nostra terra. A volerlo definire
con termini musicali, è un grande poema sinfonico
che mi fa pensare allo Zarathustra di Strauss. In
esso colgo il pulsare di tanta vita che si adopera e
passa; pure, realtà diverse in successioni di tempo
fra loro lontanissime e tuttavia interagenti, legate
dal filo della storia, nell'ambito inconfondibile
del nostro grandioso vulcano.
Ho di fronte l'opera: tento una lettura, ma non
posso evitare un vivo sentimento che mi volge verso
la contemplazione: il senso dell'eterno mi giunge da
queste immagini; l'eterno incessante che muta,
distruggendosi e rinascendo in infinite cose. L'Etna
incomparabile crea l'intero campo, così come nella
realtà costituisce il nostro sito naturale. Nella
sinistra del dipinto, lungo la valle, scorre sinuoso
come un serpente il Simeto, nume salvifico a popoli
ormai trascorsi; e in alto profili di monti, da cui
esso proviene. In basso, nell'alveo materno della
terra, scorgo un elmo, una lancia, dei vasi, altri
utensili: sono echi di civiltà aurorali che vissero
in questi luoghi e si allontanano nel tempo;
testimonianze tangibili di sofferenze, di amore, di
speranza. Fuori, al cospetto della luna, che segna
l'avvicendarsi delle stagioni, trovo altre presenze
e altre civiltà più vicine a noi e quindi la nostra,
con la perfetta geometria dei suoi campi coltivati,
con le sue piante cariche di frutti, con i suoi
ponti, i suoi acquedotti.
Certo, Scalisi, per quella sua classicità nel
giudicare il mondo, ha conferito al paesaggio del
nostro tempo una veste di pulizia e di serenità,
quasi di generale letizia, confidando ancora nella
bontà dell'uomo. La casa in primo piano, posta quasi
al centro del dipinto, occupa gran parte della
superficie ed è una metafora, mentre sono soltanto
simboli quegli strani, grandi segni nella sua
sinistra, che il Nostro ha rilevato da reperti
preistorici. Essi stanno appunto a significare
presenze di umanità scomparse. La casa invece - una
semplice casa di campagna - ci riporta indietro di
migliaia di anni, significando una delle
fondamentali conquiste dell’uomo: la scoperta
dell'agricoltura, la fine quindi di una esistenza
erratica e l’inizio dell’urbanizzazione.
A destra. su un altipiano dell'Etna intravedo
Adrano; alcuni suoifabbricati, il castello, e
attorno, le piante tipiche del nostro ambiente, tra
cui le ginestre, il mandorlo, il pistacchio. E’ un
tripudio di verde che ci trasmette il senso di un
grande conforto. Il mio sguardo ora si ferma sul
vicino olivo che sta leggermente inclinato, come a
voler comprendere i segreti nascosti in tutte quelle
forme che gli sono attorno. La pianta più mansueta
del mondo mi sembra in verità perplessa ma non
scoraggiata, mentre dal profilo umano accanto
traspare la consapevolezza dei nostri errori, non
disgiunta però da una speranza. quella di un'alba
nuova che l'arcobaleno sembra volerci annunciare.
Sotto l'aspetto strutturale, l'opera si presenta
coerente e bene equilibrata. Particolarmente
sorretta da un sapiente uso del colore. I diversi
linguaggi riscontrabili, scino stati amalgamati
dall'autore secondo precisi scopi di funzionalità.
Per il suo grande fascino, questo dipinto si è
consegnato al tempo, divenendo il genius loci del
nostro paese. Il forestiero che verrà ad ammirarlo
coglierà in esso una aulica bellezza. l'idealità dei
nostri luoghi dove natura e storia erano allora,
felicemente insieme, mito e poesia.
(Vincenzo Spitaleri)
I