Simeto - 3
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Il Simeto
nella Protostoria: La città del Mendolito
Nella
Sicilia centro-orientale la protostoria incomincia
con la colonizzazione greca dell'isola avvenuta alla
fine del VIII sec. a.C.
A questo periodo e al fenomeno
dell'immigrazione greca è legata
Ancora
oggi si ignorano di essa il nome e le vicende.
E'
probabile che ivi ripararono le popolazioni dei
vicini villaggi di gran parte del territorio
adranita e centuripino; è pure probabile che nella
seconda fase della guerra del Peloponneso (
spedizione ateniese in Sicilia ) essa subì le stesse
vicende storiche di Centuripe, Ibla e Inessa, i cui
territori furono devastati dai sodati greci
(Tucidite "Le guerre del Peloponneso”).
Virgilio, nel 9° libro dell'Eneide, parla di un
giovane, figlio di Arcente, educato in una città
presso il Simeto ove vigeva il culto degli dei
Palici, il quale seguì Enea nelle sue peregrinazioni
nel Lazio; il poeta mantovano a proposito accenna ad
una palestra militare ( Campo di Marte ) e ad un
altare dedicato a Palico ( non è chiaro se alludesse
al dio padre dei Palici o addirittura al nome della
città .
Grande
contributo ha dato l'archeologia grazie ai
ritrovamenti effettuati dai proprietari dei terreni
nell'impiantare agrumeti e alle ricerche
archeologiche dirette da Paolo Orsi, dal rev. S.
Petronio Russo, dal prof. Luigi Perdicaro e dal
comitato cittadino adranita diretto dal prof. Saro
Franco.
Così è
venuto alla luce nel 1908 il famoso ripostiglio
bronzeo " Ciadamidaro " dove sono stati ritrovati
circa
Esso
spetta, salvo un più attento esame, all'VIII - VII
sec.a. C ". Il ripostiglio bronzeo conteneva ancora
bellissimi cinturoni sbalzati che costituivano un'
armatura caratteristica dei guerrieri siculi, e
degli informi pani di metallo grezzo. Il prof. G.
Libertini (“Adranon: questioni storiche e
topografiche”-1932) avanza l' ipotesi che questo
materiale così numeroso e diverso possa
rappresentare i residui di un' officina per la
lavorazione dei metalli, oppure un' offerta fatta
alla divinità cui venivano portati anche quegli
informi blocchi che rappresentavano quasi un dono in
denaro.
Nel nostro museo si custodiscono ancora altri
reperti venuti alla luce in zona come elementi
architettonici in basalto etneo, architravi, resti
di colonne e capitelli.
Di questa città siculo-greca ancora oggi è visibile
il muro di cinta detto " il murazzo ". Ma la parte
più importante di questa cinta è l'ingresso sud
della città formato da due grosse torri
elevate con muratura a secco, le quali introducono
verso l'interno della città stessa.
Una
delle torri reca un'iscrizione siculo greca a
carattere pubblico "IAMAKARAM ". L'epigrafe si trova
oggi al museo archeologico di Siracusa.
Sono
state rinvenute altre epigrafi siculo-greche esposte
nel nostro museo fra cui il " cippo Sanfilippo " e
il " cippo Reale ".
Le
epigrafi ritrovate nella misteriosa cinta del
Mendolito sono in caratteri in gran parte tolti
dall' alfabeto greco ma non sono in lingua greca
quindi certamente sicula. (P. Orsi " Not. Scavi
1912, p. 414).
Dice
il Libertini nella sopraccitata opera: " E' inutile
ricordare quanto interesse questa scoperta abbia
destato negli studiosi, quanti tentativi vennero
fatti e dall' Orsi e dal Ribezzo e dal De Santis per
cercare di dividere le parole di questa lingua
oscura, di penetrarne il significato, di
riallacciare la lingua stessa all' italico,
tentativi che non si può dire abbiano condotto ad un
risultato positivo ma dei quali si comprende l'
importanza quando si pensi che in fatto di lingua
sicula noi non conosciamo che pochissimi vocaboli
tramandatici da scrittori greci....".
Altre
due epigrafi trovate in loco e assegnabili al IV
sec. a. C. sono invece in lingua greca. In una,
incisa su una base, si fa il nome di tre personaggi
che rivestono la carica di " IAROTHUTAI " carica
sacerdotale che appare solo in un titolo di
Agrigento, ed un' altra in cui si deve certamente
leggere una dedica ad Ercole (P. Orsi in " Riv. di
Storia Antica " ).
Conosciamo poi la necropoli con tombe collettive
tipo cappelle di famiglia e ancora si possono vedere
i resti di piccole case con cortile in comune. Nei
cortili sono stati trovati pesi da telaio,macine,
forni usati probabilmente nella stagione estiva. Si
presume che i lavori venivano svolti collettivamente
nel cortile e le stanze servissero per il riposo."
Ogni casa doveva avere le sue giarre dell'acqua le
quali servivano anche per derrate ed oggetti " ( P.
Orsi ).
L'area
della città è di circa
A proposito della ubicazione, dice P. Orsi: "La
città si estende ad est del colle lavico nel cui
burrone di est è leggenda corresse un tempo il
Simeto; in tal caso essa avrebbe avuto un
formidabile fiancheggiamento e la cosa non mi pare
geologicamente inverosimile ".
Agli
inizi del V sec. a.C., la città del Mendolito venne
improvvisamente abbandonata; restano ignote le cause
che costrinsero all'esodo l'intera popolazione.
Sappiamo che tra il 475-
E' uno
dei motivi per giustificare lo spopolamento della
città lungo il Simeto che per comodità gli
archeologi chiamano " città bassa " a favore della
nuova " città alta ".
Ma a
spopolare la città del Mendolito possono essere
stati altri motivi come terremoti, alluvioni o
pestilenze.
Il
territorio comunque doveva essere molto appetibile
per la presenza di un fiume ricco di pesci oltre che
navigabile, di acqua abbondante, di grano e
cacciagione, di fitte boscaglie per cui Dionisio la
conquisterà anche per l'approvigionamento del
legname ricco di resina, utilissimo per la
carpenteria navale.
E'
probabile che il legname, tagliato dai boschi,
venisse gettato poi dalla rocca, forse " u sautu de
chianchi " presso l'attuale cimitero e per mezzo di
zattere portato a Catania per essere lavorato.
Alla
fine del V secolo la città del Mendolito, che vive
complessivamente 700 anni, viene abbandonata.
Il velo del silenzio si
stende per sempre su di una comunità umana che ha
saputo scrivere una pagina di storie eloquente e
significativa, che apre spiragli di conoscenza sul
processo di sviluppo dei popoli nel lontano passato.
Dopo secoli di presenza
attiva e incisiva nel territorio scelto e utilizzato
per il loro insediamento, il vento rovinoso, che
segue sempre ai rivolgimenti naturalistici o
storici, ha cancellato ogni traccia della loro
sopravvivenza in questi luoghi.
Sotto la distesa degli
aranceti che ricopre, , ancora, forse, il segreto di
una esistenza umana vissuta migliaia di anni fa;
sotto l’inseguirsi dei lunghi filari di alberi, che
consegnano il succoso frutto dell’arancio, una vita,
che si è spenta nel lontano passato, racchiude il
segreto di una storia che forse un giorno, in un
futuro prossimo o remoto, sarà possibile leggere.
Il Simeto
dall’età' Romana all’età' Arabo - Normanna
Ben
poco sappiamo degli insediamenti umani nella media
valle del Simeto durante la dominazione.
romana.
Cicerone nelle " Verrine " e nel " De Frumento " ci
dice che fra le città oppresse da Verre, c'era anche
Imachara, limitrofa del territorio centuripino. Con
probabilità potrebbe essere la città del
Mendolito che cos' potrebbe essere stata riabilitata
in età romana. A questa età comunque risale la base
dell'arcata maggiore del ponte dei Saraceni che
faceva parte della " via frumentaria ".
Durante l'invasione gotica del V sec. d..C. visse
nella vallata del Simeto una comunità di cristiani;
Esiste infatti, incisa in questo periodo, l'epigrafe
delle " Favare " presso le quali si riunivano
clandestinamente i primi cristiani per praticare i
loro culti. L'epigrafe reca i nomi di alcuni
cristiani ( Paulenos, Eusebios ) con il simbolo
cristiano di una palmetta e il verbo " eufrantesan "
( vissero felici ).
Con il
ritorno da Antiochia di San Birillo, molti nostri
antenati abbracciarono la fede cristiana e i due
templi che sorgevano sulle sponde del Simeto, uno
dedicato a Marte e l'altro ad Ercole, furono
convertiti in chiese cristiane. Nella Valle delle
Muse, in contrada Pulichello, si edificò la chiesa
di S. Maria, in contrada Sciarone invece quella
dedicata a Santa Domenica, Vergine e Martire:
Nulla
sappiamo di insediamenti umani durante l'età
bizantina.
Durante l'invasione araba e la conseguente
dominazione che durò due secoli ( 850 - 1070
), i Saraceni si insediarono in questa fertile
pianura che era la via che da Messina portava a
Palermo attraverso la rocca araba di Troina.
Proprio qui, nel 1040, ventimila arabi cercarono di
sbarrare il passo al condottiero Giorgio Maniace che
con un altrettanto numeroso esercito di cristiani,
bizantini, siciliani, li sconfisse in un pianoro che
venne in seguito chiamato " Piano della Sconfitta "
da Saraceni e " Maniace " dai cristiani.
Ritornando al nostro territorio, dobbiamo dire che
alcune famiglie di Saraceni preferirono rimanere in
questo luogo ridente e fertile che da essi prese il
nome do " Casale ", rispettando il culto cristiano
che ivi si praticava e costruendo un ponte con arco
gotico, il famoso Ponte dei Saraceni la cui base
dell'arco maggiore, come abbiamo già detto, risaliva
all'età romana. Detto ponte collegava i feudi del
Mendolito e di Carcaci. ( Ricostruito in stile
gotico ai tempi di Ruggero II ( 1101 - 1154 ), ebbe
in seguito sostanziali rifacimenti nei secoli XVI e
XVII ad opera di architetti palermitani ).
In età
normanna, nella località " Simetia di Polichello ",
esisteva un villaggio di arabi cristianizzati. Un
documento certo è l'atto di donazione stipulato il
15 maggio 1158 con l'arcivescovo G. Barense nel
quale la contessa Adelasia, che aveva ereditato dal
padre il territorio di Adernò, nell'istituire il
Conservatorio delle Vergini sotto il nome di Santa
Lucia, donava pure il Casale ove risiedevano ancora
ventiquattro famiglie di Saraceni cristianizzati,
denominati " villani "
In
seguito il Casale fu abbandonato ma il culto di S.
Domenica rimase per molti secoli sostenuto fino al
1860 dal monastero di Santa Lucia.
Nel
terreno adiacente alla chiesa, si celebrava la festa
campestre di S. Domenica durante la quale si
svolgeva una fiera di bestiame nell'ultima settimana
di agosto, in base a un Decreto Reale del 1826 di
Francesco I°.
"
Viandanti, bordonari e pastori, scendevano dai monti
a svernare nella piana di Catania, sostavano e si
rifocillavano in questo luogo ameno e ridente,
facendo donazioni di grano o altro prima di partire,
in cambio della Grazia concessa dalla martire di
salvaguardare i loro armenti e le loro greggi. La
venerazione della Santa si è protratta fino agli
anni '60 di questo secolo. Oggi la festa non è più
celebrata e non vi si tiene alcuna fiera ".
Zattere e
traghetti sul Simeto: “Le Giarrette”
Durante la dominazione romana, lungo il corso del
Simeto, da Maniace a Catania, furono costruiti
diversi ponti per unire le due sponde del fiume per
il passaggio delle soldatesche e delle carovane di
animali da soma carichi di grano.
Nel
corso delle dominazioni barbariche, essi andarono,
quasi nella totalità, distrutti per mancanza di
manutenzione.
Dato
il regime torrentizio del Simeto, nei periodi di
magra era facile individuare guadi o passi, ma nei
periodi di piena o non si attraversava o si
rischiava di lasciarsi trascinare dalla corrente.
Col fiorire dell'agricoltura e del commercio
in età araba, si incominciarono ad usare delle
zattere o barche denominate " giarrette " che
venivano poste allo sbocco delle trazzere più
frequentate di qua e di là del fiume per permettere
il traghettamento di persone, animali e merci.
Queste
venivano assicurate alle due sponde del fiume da
grosse gomene dette " libani " che servivano da
guida e di appiglio attraverso i vortici della
corrente.
Sulla
sponda orientale del fiume, c'era una specie di
scalo con un grande pagliaio dove stavano i
barchieri e gli attrezzi: tronchi, tavole, corde e
pece per le barche. Queste erano di proprietà del
sovrano o del nobile che le aveva ricevute col
feudo; esse venivano gestite in gabella per periodi
che variavano dai 3 ai 6 anni.. Il gabelloto
corrispondeva al feudatario o ad un suo vassallo un
canone annuo in denaro o in vettovaglie e a sua
volta si rivaleva sui traghettanti, riscuotendo
particolari "iura " o diritti di passaggio da
massari, pastori ecc.
Le
Giarrette più note furono tre: quella di Adernò o di
Mandarano , quella di Paternò o della Poira e quella
di Catania non lontana dalla foce del Simeto.
Della
Giarretta di Adernò si ha notizie da lettere del
conte Francesco Moncada del 27-8-
Questo
pesante onere gravò per tanti anni e spesso si
sollevarono lamentele da parte di agricoltori
e pastori che non
intendevano pagare così forti diritti. A loro volta,
i procuratori della Matrice si lamentavano sulla
magrezza dei frutti della barca che rendeva meno di
quello che ci voleva per le riparazioni, perciò
essi, con un atto del 27-5-1718, concessero al
barone Antonio Spitaleri Iunior il diritto di tenere
per suo conto la barca nel fiume con le stesse
modalità con cui l'aveva tenuta per alcuni secoli
Ma i
pagamenti alla Chiesa non furono regolari e il
3-5-1759 il nipote di don Antonio, don Rosario
Spitaleri, era debitore di 127 onze da pagare, in
rate annuali, ai procuratori della Matrice.
Nel
dividere i beni di don Agatino, figlio di don
Antonio Spitaleri, tra gli eredi si convenne che la
barca rimaneva in comune e che il censo di 10 onze
alla Matrice dovevano pagarlo nella misura di 5 onze
donna Anna Spitaleri e Ciancio e di 5 onze don
Felice e donna Rosaria Spitaleri.
Nell'anno 1797, il principe di Paternò don Francesco
Alvarez de Toledo mise in servizio un'altra barca
distante da quella degli Spitaleri. Questi
intentarono causa al principe al quale, con sentenza
dell' 8-11-1799, fu intimato di situare la sua barca
in un altro luogo molto distante, per non ledere il
diritto di esclusiva preteso dagli Spitateri che
però non vollero più contendere contro un così
potente antagonista e finirono per abbandonare il
negozio della barca e non fecero più versamenti alla
Matrice.
Dal
Simeto, una gemma: l’ambra
Nella
notte dei tempi la valle del Simeto era coperta da
fitte boscaglie i cui alberi erano ricchi di resina.
E'
questa una sostanza che col caldo tende ad essere
quasi liquida e cola giù dal tronco, invischiando
minuscoli insetti, polline, fiori e altre cose che
incontra nel suo cammino.
Poi le
sostanze volatili che rientrano nella sua complessa
formula chimica svaniscono e la resina diventa più
compatta, quasi una pasta cristallina. Passano gli
anni, milioni di anni, e la resina si è fossilizzata
e al suo interno polline, fiori e insetti sono
rimasti tali e quali.
L'età
dell' ambra varia dai trenta ai cento milioni di
anni; la storia dell' uomo data circa
centocinquantamila anni; per cui un ciottolo d'
ambra è da duecento a cinquecento volte più vecchio
di Adamo e Eva; gli insetti intrappolati nell' ambra
urlano la loro tragedia ventimila volte più antica
di quella di Gesù.
L'
ambra è la più giovane fra le pietre preziose; è fra
le pietre più tenere e leggere: un'unghia la può
scalfire e quasi galleggia nell' acqua salata. E'
una pietra preziosa senza essere una pietra, in
quanto deriva dal regno vegetale.
In
Sicilia, nel greto del fiume Simeto, si rinveniva
fino a pochi anni fa, la più bella e la più preziosa
ambra del mondo: la " simetite " che trova largo
impiego nel campo della gioelleria più raffinata.
Da
quando hanno regolamentato con dighe e argini il
corso del fiume, è sempre più difficile trovarne e
bisogna accontentarsi del materiale proveniente dal
Baltico o dall' America Centrale.
L'
ambra vanta il maggior numero di origini mitiche, di
leggende, di proprietà terapeutiche, di virtù
magiche. Essa è la prima pietra preziosa di cui
parla Plinio il Vecchio nella sua "Historia
Naturalis " (libro XXXVII )."..... Demostrato la
chiama " Lyncurium " e dice che deriva dall' orina
delle linci; dai maschi quella di colore rossastro,
dalla femmine quella di colore più morbido e
candido. Secondo Teomene, nei pressi della grande
Sirte, c' è il giardino delle Esperidi...ivi ci sono
alberi di pioppo dalle cui cime l' ambra cade nello
stagno, dove poi viene raccolta dalle fanciulle
delle Esperidi....
Le
varietà dell' ambra sono numerose. Fra queste quella
bianca è di profumo straordinario ma non ha pregio;
quelle giallo-rossicce hanno maggiore valore e fra
queste ancora di più quelle traslucide; sono le più
apprezzate quelle chiamate " Falerne " dal colore
del vino, trasparenti e di colore morbido, nelle
quali piace anche la morbidezza del colore del miele
cotto..."
Orazio
nel libro IV, epigramma LIX dice: " Una vipera s'
arrampicava sui rami piangenti delle Elladi, la
perla liquida dell' ambra gialla l' incontra e le
cola addosso, essa perde subito il senso del
movimento e rimane prigioniera in questa materia
ghiacciata. Non ti vantare, o Cleopatra, del tuo
regale sepolcro, giacché una vipera riposa in una
bara ben più nobile della tua ".