Fiume Simeto

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Introduzione

 

Si fa sempre più ricco e interessante il lavoro di ricerca, condotto dagli alunni, sotto la valida guida degli insegnanti, sulle origini della città di Adrano, sul suo territorio e sul processo di evoluzione maturato nel corso di una storia millenaria, che ha visto l'avvicendarsi di popoli e di civiltà, le cui testimonianze restano indelebili nei monumenti imponenti, nelle strutture architettoniche e urbanistiche, nelle tradizioni popolari, nelle connotazioni idiomatiche, sfidando il trascorrere inesorabile del tempo che tutto cancella e stravolge.

   La conoscenza del proprio passato risponde certamente ad una esigenza profonda e insopprimibile dello spirito umano, proteso in una continua e ansiosa ricerca culturale, ma costituisce anche una premessa ineludibile e insostituibile per tracciare sicuri percorsi di progresso civile e sociale.

   Un popolo che non abbia memoria del suo passato non sarà mai capace di costruire il suo futuro. La Storia ce lo insegna.

   Salutiamo perciò con vero piacere la pubblicazione di questa nuova monografia, che non mancherà di suscitare interesse nei giovani discenti, e anche nei lettori adulti, alla cui curiosità conoscitiva l'opera darà risposte sicuramente stimolanti e appaganti.

   Compito dell'insegnamento, certamente non secondario rispetto alla sua funzione istituzionale di comunicazione del sapere, attraverso schematismi concettuali e operativi, è quello di promuovere, incentivare, favorire un più sentito, consapevole, motivante accostamento al territorio, perché proprio nella sua realtà viva e vitale, nel ricco tessuto della sua struttura urbanistica, nella complessa articolazione dei meccanismi che regolano e scandiscono i ritmi della agglomerazione sociale, si possono trovare, esaltare, consolidare quei legami, mai interrotti, con un passato lontano ma sempre presente, che pulsa e fa sentire ancora il fascinoso battito del suo cuore, attraverso le vestigia segnate dal tempo o anche sfigurate ma ancora eloquenti.

   Si promuove così un sano sentimento di orgogliosa appartenenza alla propria terra e, alimentandolo, lo si comunica alla nuove generazioni, che oggi sembrano smarrite e disorientate, a causa della grave crisi dei valori autentici e delle alienanti e mistificatorie esasperazioni dei falsi ed effimeri miti del nostro tempo.

   Anche per questa via, anche attraverso la riscoperta delle proprie radici storiche, passano forti messaggi di cultura e di formazione, i quali potranno scatenare positive e imprevedibili reazioni cognitive da parte degli allievi che, guidati e sollecitati in una lettura più attenta e meno sommaria o distratta della propria città e del proprio territorio, troveranno stimoli nuovi per appropriarsi dei valori, oggi misconosciuti o ignorati, che la storia gelosamente custodisce e tramanda nei secoli, e per proiettarsi in una più significativa e qualificante dimensione civile e sociale, cui si collega la costruzione di un futuro di progresso e di civiltà.

   Ogni ricerca storica ha il fascino travolgente di un viaggio immaginario e avventuroso attraverso il tempo. La luce penetrante della conoscenza e della riflessione squarcia le tenebre che avvolgono le cose e le persone dei tempi lontani e si rompe il silenzio, reso ovattato e impenetrabile dalla polvere dell'oblio stratificatasi nel corso dei secoli e dei millenni.

   Scenari nuovi e imprevedibili si aprono al nostro passaggio; si ricostituiscono, in forma virtuale, realtà di vita del passato; si animano la vie; i quartieri si affollano di gente, che vive la sua giornata nell'esercizio di attività, di mestieri, di funzioni pubbliche, che i tempi nuovi e i rivolgimenti sociali hanno ormai cancellato o radicalmente modificato. Si respira quasi un'aria diversa, impregnata di profumi sconosciuti, mossa  da lievi e dolci melodie, non soffocate dal frastuono assordante della nostra civiltà convulsa e frenetica. Il tempo dilata i suoi ritmi; gli attimi si fanno più lunghi; il passare delle ore scandisce lentamente il fluire della vita.

   La magia della memoria delinea e ricompone ambienti domestici e urbani; disegna figure, costumi, personaggi; anima nuclei familiari e folle di persone; riproduce fatti, eventi sereni o concitati.

   Rinasce sotto i nostri occhi un mondo che prima ci sembrava lontano, inespressivo, insignificante. Si coglie il messaggio della storia; si riesce a sentire la voce del passato, flebile, prima; poi sempre più sonora e squillante, che si sovrappone e s'impone sul brusio della vita quotidiana; scuote l'attenzione e induce l'intelletto ad aprirsi al dialogo con le epoche lontane.

   Nasce allora un amore nuovo, vissuto con una trepidazione inattesa e imprevista, che lega l'animo umano al patrimonio storico, che custodisce l'impronta dell'uomo e, con l'uomo, il segno della civiltà.

   L'esperienza del ricordare e del ricostruire i frammenti della storia, al di là della sollecitazione dell'immaginario e del fantastico, deve costituire un momento costante, sistematico ed essenziale dell'agire quotidiano degli individui.

   L'acquisita consapevolezza dello sviluppo storico, del susseguirsi dei fatti e degli eventi culturali, civili e sociali, arricchisce i singoli, e, per riflesso, le collettività, di nuovi strumenti di comprensione e di valutazione del presente, in vista della progettazione del futuro.

   Il mondo circostante cessa di apparire come un dato esterno ed immutabile, per proporsi come un campo aperto a nuove esperienze, destinate ad introdurre ulteriori fattori di evoluzione e di progresso.

Così la ricerca sul nostro fiume Simeto, attraverso i miti, le leggende, la protostoria e la storia, ha il fascino travolgente di un viaggio fantastico ed avventuroso attraverso il tempo.

La luce penetrante della conoscenza e della riflessione squarcia le tenebre che avvolgono le cose, gli avvenimenti e le persone dei tempi lontani e si rompe il silenzio, reso ovattato e impenetrabile dalla polvere dell'oblio stratificatasi nel corso dei secoli e dei millenni.

 

                                            Prof. Luigi Messina

 

L’origine del nome del fiume Simeto

 

Incerta rimane l’origine del termine Symaithos con il quale gli antichi indicavano il fiume che scorre nella Sicilia centro-orientale.

Plinio il Vecchio (Naturalis Historia V – 108) ci informa che Symaithos era una località della Caria, regione dell’Anatolia centro-occidentale.

Syme è un’isola dell’Egeo centrale e nelle Sporadi lo stesso toponimo è presente anche a Creta.

Non andrebbe pertanto esclusa un’origine greca del nome del fiume, ma come giustamente notato da Ettore Pais, nella sua “Storia di Sicilia”, in genere nel mondo antico la toponomastica fluviale e orografica rispetta sempre la tradizione indigena. In altre parole, il termine Symaithos sarebbe un nome siculo, anteriore alla colonizzazione greca.

Da notare poi che Sime è anche il nome di una ninfa, per cui Symaithos potrebbe anche essere il luogo di Sime.

Sappiamo anche da Ovidio (Metamorfosi XIII vv. 879) che il Simeto era un fiume eroicizzato, compagno di Aci e venerato nella città di Catania.

 

I miti nella valle del Simeto

 

Tutte le società primitive, legate profondamente alla natura, hanno dato origine a dei miti (dal termine greco “mythos”), narrazioni fantastiche, che si prefiggevano di dare spiegazione di fenomeni naturali di cui si ignorava la ragione o di esaltarne alcuni, per essere particolarmente benefici o da temere, divinizzandoli.

Dal mito traeva, quindi, origine la religione e quest’ultima si esprimeva mediante dei riti officiati da sacerdoti (intermediari fra l’uomo e la divinità) in appositi luoghi di culto, che potevano essere assolutamente naturali (un bosco, una grotta, etc.) o edificati dall’uomo.

Nel nostro territorio gli elementi della natura sono particolarmente appariscenti8 ancora oggi (l’Etna) e lo erano ancora di più nel passato (il fiume Simeto e un ricco apparato di sorgenti in mezzo ad una ricca vegetazione).

E’, quindi, naturale che le popolazioni locali facessero fiorire dei miti proprio in relazione al vulcano, con le sue frequenti eruzioni ed i suoi terremoti, e al fiume, fonte primaria di vita, non solo per l’acqua, la cui presenza era di fondamentale importanza per le popolazioni della preistoria, ma anche per la ricca fauna ittica di particolare pregio. Inoltre c’era un terzo elemento, le sorgenti, che caratterizzava il nostro territorio e che collegava in modo organico l’Etna con il corso del fiume. Anche questo terzo elemento divenne oggetto di mito.

Dei miti più antichi del nostro territorio non sappiamo niente, poiché il mito si tramandava oralmente e ancora non esisteva la scrittura. Tuttavia, possiamo dire che le prime manifestazioni religiose risalgono al periodo neolitico, al quale appartengono dei vasi di terracotta riproducenti aspetti del volto umano, certo aventi aspetto simbolico, e alcuni idoletti, anch’essi in terracotta, che riproducono figure femminili, simbolo di fecondità. Tra questi idoletti si distingue un “maternità”, che nulla ha da invidiare all’strema stilizzazione dell’arte cicladica e che presenta, quindi, caratteri di una sorprendente modernità.

I miti di cui abbiano notizia risalgono all’età dei metalli e fanno tutti capo alla figura del dio Adrano, che, in quando personificazione dell’Etna, presiedeva al lavoro dei Ciclopi, era lo sposo della ninfa Talia, personificazione dell’acqua, quindi, del fiume Simeto, e padre dei Gemelli  Palici, personificazione di due sorgenti.

Tutti i miti del nostro territorio sono pre-greci e le innegabili analogie con alcuni miti greci si possono forse spiegare con la comune matrice indoeuropea  di Siculi e delle popolazioni greche.

 

Il dio Adrano

(iconografia del dio; origine del nome; culto; santuario)

 

La figura principale di questo piccolo pantheon pre-ellenico è quella del dio Adrano.

Questa divinità pone una serie di problemi, quali l’iconografia ,l’origine del nome, gli attributi, il regno sul quale presiedeva.

La sua iconografia è incerta. Secondo alcuni autori, il dio Adrano alla fine di una lunga evoluzione, completamente ellecinizzato, avrebbe assunto l’aspetto di un giovane dio, dalla testa cinta da un diadema, armato di lancia e con un corno sulla fronte, a sinistra. Questa rappresentazione apparenterebbe il dio Adrano più al fiume Simeto, che all’Etna, poiché il corno sulla fronte è un ricordo dell’aspetto taurino che presso i Greci, in età arcaica, avevano le rappresentazioni di divinità fluviali.

Due sono le iconografie che si desumono dalle rappresentazioni monetali.

Il una serie il dio Adrano viene rappresentato con l’aspetto di un giovane imberbe (ma, in realtà potrebbe trattarsi di un’altra divinità, forse Apollo); in un’atra serie, la più accreditata sull’argomento, , anche perché coincide con la descrizione che del nume fa Plutarco, il dio Adrano appare come un adulto, stante, barbuto, armato di lorica, elmo scudo e con una lancia nella mano destra.

L’origine del nome del dio Adrano è pre-greca. Gli studiosi di tendenza orientalista fanno derivare questo nome dall’indoeuropeo, dove la radice “adar” significa fuoco (senza ricorrere al sanscrito, che deriva anch’esso dall’indoeuropeo, basti confrontare questa radice “adar” con il termine latino “ardor”). I Siculi, che appartenevano al ceppo indoeuropeo, avrebbero divinizzato l’Etna, in cui la presenza del fuoco è pressoché costante, dandogli, appunto, il nome di Adrano=fuoco.

Questa teoria è convincente. Tuttavia, il mito secondo il quale il dio Adrano avrebbe sposato la ninfa Etna-Talia, farebbe coincidere la ninfa con la montagna e il dio adrano con il fiume, che ne avrebbe preso il nome. Da ciò deriverebbe la presunta rappresentazione del dio Adrano come divinità fluviale e verrebbe a cadere ogni legame diretto con i Ciclopi, i quali si sarebbero soltanto limitati a fornire l’armatura al nostro dio.

La raffigurazione del dio Adrano come uomo adulto, armato di tutto punto, esclude ogni legame diretto con l’Etna, il Simeto e anche la caccia, perché armati a qual modo no si va a caccia, ma solo alla guerra. Il dio Adrano dev’essere stato, quindi, un dio guerriero, un nume tutelare, e,probamente, il nome di Adrano-fuoco avrà avuto un significato traslato di forte, potente, luminoso, protettore (come il fuoco).

Comunque sia, secondo le fonti antiche (Timeo, IV (sec. a.C.); Diodoro Siculo, (tra 80 e il 20 a. C”). “Biblioteca Historica”; Plutarco (50d.C. – 120 d. C.) “Vite Parallele”; Eliano (circa 170 d. C. – 235 d. C.) “Intorno agli Animali”; Graevius Johann (1600-1703) “Isagoge”) al dio Adrano era dedicato un tempio, circondato dal suo bosco sacro e custodito da una juta di mille cani cirnechi o molossi. Questi cani, dotati d’istinto soprannaturale, sarebbero stati aggressivi contro i sacrileghi e i ladri, accoglienti versi i pietosi e solidali con gli ubriachi, che avrebbero accompagnato dal santuario a casa.

La presenza dei molossi nel tempio, secondo qualche studioso, farebbe del dio Adrano un dio cacciatore e protettore dei cacciatori. C’è da notare, però, che non c’è traccia di cani, come attributo nella descrizione dei simulacri del dio.

Per altri studiosi, la presenza dei cani farebbe attribuire al dio Adrano la natura del nume salutare di origine fluviale, poiché il cane nel linguaggio simbolico dei Greci alludeva alle virtù terapeutiche delle acque.

Potrebbe trattarsi, più semplicemente, di cani da guardia, necessari per custodire il tesoro del tempio e, guidati dai sacerdoti, per mantenere l’ordine.

C’è da stupirsi, piuttosto, da loro numero, veramente eccessivo, che farebbe pensare ad un santuario di proporzioni gigantesche, a immani folle di fedeli, ad un tesoro di inestimabile valore ed a un esercito di male intenzionati.

Tornando al tempio, secondo Plutarco, in onore del dio vi si svolgeva un culto misterioso (riservato solo a pochi iniziati) che avrebbe avuto una funzione divinatoria. I fedeli, entrati nel santuario, bevevano, si ubriacavano e si addormentavano. Al risveglio, raccontavano il sogno avuto durante la notte ad un sacerdote,il quale dava il suo responso in nome del dio. Si pensa che avvenisse questo a somiglianza di quanto accadeva in un santuario di Zeus in Epiro.

C’è da obbiettare, però, che il santuario più importante e più venerato nella Sicilia orientale non poteva essere certo riservato a pochi iniziati. C’è da supporre, quindi, che, se vi si officiassero culti misterici, ciò avvenisse in una parte segreta, o comunque appartata, del tempio, oche, e sarebbe più plausibile, nel tempio accadesse ciò che accadeva nei templi di Asclepio, e cioè che vi fossero dei portici destinati a dormitorio per tutti quei fedeli che desiderassero responsi, con le modalità sopra descritte, da parte dei sacerdoti.

Nel tempio del dio Adrano, che si sarebbe trovato nel centro della città dionigiana, nulla noi sappiamo di preciso: proporzioni, forma, materiali, luogo esatto, poiché nulla è stato trovato, finora, che possa identificarsi con esso.

Le colonne laviche che delimitano le navate della Chiesa Madre soprattutto le basi su cui poggiano, secondo la tradizione popolare, sarebbero provenienti da tempio del dio Adrano e riutilizzate, quindi, secondo un costume ben radicato a Roma (riutilizzazione di colonne ed altri elementi dei templi classici in chiese cristiane). Il ritrovamento del tempio del dio Adrano, però, avrebbe destato un tale scalpore che ne avremmo avuto senz’altro una qualche notizia scritta; invece, su di un argomento del genere c’è un completo silenzio.

 

del Prof. Angelo Abbadessa

Prof. Angelo Abbadessa